lunedì 7 novembre 2011

... sono Còrsi, l'uomo de “L'odore del mare”
 Pietro Corsi si "sbarba" sulla nave Acapulco, 1961


Tuesday, 24 April 2007 - 03:11

 
Notiziario NIP - News ITALIA PRESS agenzia stampa - N° 77 - Anno XIV, 23 aprile 2007 '''
... sono Còrsi, l'uomo de “L'odore del mare”'''
Sarà presentato il 12 maggio, alla Fiera del Libro di Torino, "L'odore del mare", edito da Il Grappolo, l'editrice che ben conosciamo per la sua capacità di mettere sul mercato delle splendide perle di storie italiane nel mondo. L'Autore (e in questo cosa la A maiuscola ci vuole) è Pietro Corsi, classe 1937, originario di Casacalenda (Molise), cittadino del mondo e per 27 anni in mare, iniziando come ispettore di bordo per terminare la carriera con la qualifica di Vice Presidente Esecutivo per una flotta di dieci navi.
"L'odore del mare", un libro che si legge in un fiato e che ti fa vivere migliaia di vite, in presa diretta, in un ritmo vorticoso e splendido, è la storia di questi 27 anni di mare del molisano Pietro Corsi, "in Italia spesso mi chiedono: come si pronuncia il suo nome, Còrsi o Córsi? Io dico no, no córsi tutta la mia vita, ora sono Còrsi" scherza. "E se mi chiedessero, invece, cosa faccio, cosa ho fatto? Risponderei: ho fatto un pò di tutto e, credo, tutto bene: sono nato con il desiderio di perfezione in tasca. Ora viaggio e scrivo... Scrivo e viaggio..."

'''Beato Lei! Dal Molise verso il mondo... e in mare. Nel libro viene fuori: "chi nasce con la terra sotto le unghie, non può andare a lavarla con l'acqua di mare" Lei invece sì, è andato. Come è stato possibile, e davvero questa "terra" è stata lavata completamente dalle sue unghie?'''

Quello che lei ha citato è un detto popolare, arcaico penso, del Molise e, forse, del nostro mezzogiorno. Per i nostri contadini, che lo usavano, sta ad indicare che uno muore nella stessa condizione in cui nasce. Per il contadino cento anni fa, ma forse anche di cinquanta anni fa, il signore nasceva signore, moriva signore. Il contadino nasceva contadino, moriva contadino. Io sono nato in una terra di contadini, in un paese di contadini, anche se figlio di calzolaio. Mia madre però era figlia di contadini. Da lei ho ereditato la terra sotto le unghie. Sono partito, sono andato in giro per il mondo, per lavarmela. Ora lei mi chiede se ci sono riuscito. L'uomo è quello che è. Ma potrebbe anche essere un camaleonte; anzi, ora che ci penso, di natura lo è. Ma uomo è, uomo resta: io credo di essere restato quello che sono sempre stato. E certo, sono riuscito a cambiare molto di quello che ho toccato, e mi sono lavato la terra da sotto le unghie; facendolo, mi sono inventato e reinventato, ad ogni passo: come il camaleonte. Sento però, ripeto, di essere solo e sempre quello che sono: un uomo semplice, nato in una terra di contadini, in un paese di contadini, figlio di calzolaio ma con molte ambizioni: volevo scalare la montagna mondo, credo di esserci riuscito.

'''Ci parli della sua prima esperienza, quella giornalistica, quando partendo dall'Italia raggiunse il fratello in Canada. Ma poi anche per "Cine Mundial".'''

La mia esperienza giornalistica è durata, in effetti (e purtroppo, perché mi affascinava) solo il tempo della mia permanenza a Montreal, diciotto mesi circa. E tuttavia, è stata un'esperienza molto intensa. Il Cittadino Canadese era un giornale molto importante all'epoca, formato quotidiano, sedici pagine. A prepararlo eravamo in due, l'altro era Augusto Tommasini, fiorentino. Per riempire le sedici pagine, settimana dopo settimana, spesso dovevamo inventarci cosa scrivere. Non c'erano, allora, I mezzi di comunicazione che ci sono oggi, bollettini stampa eccetera, non c'era telex e la parola "fax" somigliava solo vagamente a "pax": perché il fax non esisteva, non si conosceva. Per cui non ci arrivavano molte notizie a tempo giusto. Le uniche che ci pervenivano erano di una agenzia italiana, L'eco della stampa, e poi, sempre in ritardo perché era via posta. Ma era, il nostro, un giornale molto impegnato: c'era tutta una comunità con centinaia di migliaia di famiglie che, sognando l'Italia, vivevano in Canada. Era nostro compito portarle, gradualmente, all'accettazione della nuova vita, della nuova patria, sia da un punto di vista sociale che da un impegnativo punto di vista politico. Ci siamo riusciti? Credo di sì, anche se non da soli. E questo è il bello. L'italo-canadese di oggi è un cittadino integrato a tutti gli effetti. Scrivevo articoli firmati, spesso, anche con altri nomi inventati, o addirittura senza un nome: per non far apparire sempre il mio. Il giornale era considerato, all'epoca, molto importante: c'era, dentro, l'anima di chi scriveva. Ma devo riconoscere che era un tipo di giornalismo impensabile al giorno d'oggi. La mia esperienza con Cine Mundial durò pochi mesi, perché poi andai viva da Città del Messico. Tuttavia, settimana dopo settimana scrivevo articoli che riguardavano esclusivamente il cinema italiano. In quei giorni, come ancora oggi, in Messico tutto ciò che era italiano era cosa benedetta, cosa santa. Anche per questo, credo, Carlo Còccioli, che di Città del Messico aveva fatto la sua casa e del Messico la sua vera patria, ebbe il successo che in Italia gli era stato sempre negato, (era apertamente omosessuale, trovò la vita, e il compagno della sua vita, solo in Messico).

'''27 anni di mare. Cosa le hanno lasciato?'''

Un amore incancellabile e un grande rispetto per il mare. Quando vado a Mazatlan, paese di mia moglie, dove abbiamo una casa che affaccia sul mare, resto imbambolato ad ammirare, da un finestrone panoramico, non solo il mare, ma il calar del sole, sull'orizzonte lontano, che nei tropici si tinge dei colori più belli dell'arcobaleno. Ogni sera diverso perché svela, precisamente ogni sera, I misteri di "quella" sera. Quando sono nel Molise poi, non manco mai di visitare l'Adriatico, a pochi chilometri dal mio paese. Ma lo vedo anche, nei giorni limpidi e, per me, fortunati, beati, dal balcone di casa. Ogni volta con rinnovata tenerezza.

'''Ci racconti come diventò ispettore della compagnia Princess Cruises di Los Angeles?'''

Dopo aver fatto un lungo e laborioso tirocinio su una nave da crociere di una compagnia che andò poi in fallimento, quando nacque la Princess Cruises io mi trovavo al posto giusto, al momento giusto e con la giusta esperienza che, in quei giorni, nessun altro poteva avere. Per il resto, grazie al mio duro lavoro, al mio innato (o forse acquisito?) desiderio di perfezione.

'''In cosa consisteva il suo lavoro, e quale umanità le ha permesso di incontrare?'''

Il mio lavoro consisteva in tutto ciò che aveva a che vedere con il successo della crociera, il benestare e la soddisfazione dei crocieristi. Anche questo fatto mi ha dato la forza necessaria per farmi strada. L'umanità da me incontrata in questa mia posizione è stata, per mia fortuna, molto varia (gli incontri, si sa, arricchiscono la nostra vita, di questo io ne sono molto convinto, oggi), dall'equipaggio, sia che fossero sguatteri che ufficiali, ai passeggeri, sia che fossero miliardari sia che fossero gente che aveva risparmiato tutta la vita per il sogno di una crociera. Non sono mai mancate coppie che venivano in viaggio con la speranza di salvare una relazione che stava per essere distrutta dal quotidiano: ci si impegnava, direttamente o indirettamente, anche in questo.

'''Lei oggi, come nel passato, continua a viaggiare tra gli USA e l'Italia. Ma parliamo di quel nonno Titto, anche lui in viaggio tra "New Jersey e il Massachussets e l'Ohio della lontana 'Merika e questo suo Molise".'''

I racconti di nonno Titto, al fuoco del caminetto, d'inverno, o tra i filari del suo vigneto, d'estate come in autunno, per la vendemmia, avranno certamente svegliato in me un grande desiderio di avventure, poi appagato. Era impensabile, per me, che un uomo come lui, piccolo e asciutto, con il suo bastone sempre in mano, abbia potuto fare diversi viaggi dal Molise, terra abbandonata, terra di tutti e di nessuno, alla lontana 'Merika, terra trovata, di tutti e di nessuno ma con l'altro senso della metafora. Non mi parlava del suo lavoro, mi parlava piuttosto dei problemi che gli si presentavano, di come li superava: forse per darmi una lezione di sopravvivenza. La cosa più bella che ricordo dei viaggi, dei racconti di nonno Titto, è l'aver potuto appurare che molto di quello che diceva era vero. Mi diceva, per esempio, che avendo avuto dei problemi sul lavoro, problemi di discriminazione, si era rivolto a un personaggio molto importante, un Corsi come lui ma non parente, e che quel Corsi era stato contento di poter intervenire per risolvere il suo problema. Io, bambino, non pensavo che potessero esserci altri Corsi, certamente non in America. Avevo il sospetto che fossero tutte balle del nonno. Invece no, uno c'era, come ho scoperto di recente: si chiamava Edward Corsi, era nato in Abruzzo ed era emigrato da bambino. Si era fatto strada, era entrato nel mondo della politica, era diventato Commissario all'immigrazione e poi, nel 1950, fu uno di tre italiani candidati a Sindaco della città di New York, un avvenimento storico per quei giorni, anche se oggi Giuliani, candidato alla Presidenza, ci fa pensare diversamente. Delle sue esperienze a Ellis Island, l'Edward Corsi ha scritto un prezioso libro: In the shadow of Liberty, un estratto del quale è stato di recente pubblicato in italiano, casualmente, dalla casa editrice Il Grappolo (titolo All'ombra della libertà), la stessa cioè che ha pubblicato L'odore del mare.

""Parla del suo Molise attraverso quanto del Molise le diceva il nonno Titto e ad un certo punto mi pare di capire che lei dice che chi - i suoi figli - è cresciuto nella "Merika... piantato le mie radici, e pur avendo bevuto latte romano e molisano sin dai primi mesi della loro vita, queste cose non possono sentirle". Qui mi si apre un problema importante. Le seconde generazioni. Come portare alle seconde generazioni "il senso" della "terra" italiana? Le identità plurime, lei ci crede? e come portarle ai tanti che sono americani piuttosto che canadesi e poi certo avranno pure ricordi e magari nostalgie per la terra dei loro padri. ""

Ma il salto dalla "nostalgia" e magari dalla voglia della ricerca delle proprie origini, alle identità plurime, mi sembra molto grande. La sua è, certamente, una domanda molto importante, che riguarda un importante problema. Anche per questo io ho scritto quello che lei giustamente dice che ho scritto. "Pur avendo bevuto latte romano e molisano, i miei figli, (che pure vanno spesso in Italia e da piccoli, anzi, e da giovanotti ci andavano ogni estate per settimane o mesi interi, e ne parlano ancora la lingua), certe cose, certi legami, non riescono più a sentirli. Non con il cuore. Parlavo, riferendomi al Canada e ai miei giorni al Cittadino, di integrazione. Ecco, questa è la benedizione/maledizione dell'emigrante. Deve subire, per poter sopravvivere in una terra che non è la sua terra, un importante processo di integrazione. Deve assoggettarsi all'integrazione. Anni fa, ad una conferenza presso l'Università di Toronto, si chiedeva ai giovani italo-canadesi perché non vivevano la vita dei loro genitori, una vita comunitaria, banchetti e balletti sotto gli splendenti colori della bandiera italiana. Uno di essi rispose: qui in Canada, per sopravvivere, dobbiamo già lottare tanto per essere canadesi. Poi ci si chiede anche di essere italiani; e di essere di una particolare regione dell'Italia; e di essere, infine, di un particolare paese di quella regione. Non si può appartenere a questo e a quello, poi anche all'altro e all'altro. Siamo, dobbiamo essere, canadesi prima, poi italo-canadesi. Punto. Questa è la realtà. C'è poi l'altra realtà, se vogliamo, quella delle speranze perdute, se mai avute. I nostri politici (mi riferisco ai politici italiani d'Italia) si sono sempre schierati a paladini dell'emigrante: ma solo a scopo politico, solo per quel motivo. Non è stato fatto mai niente, proprio niente, per permettere all'italo-americano, all'italo-canadese, all'italo-argentino eccetera di mantenere sia pure un legame culturale con l'Italia, la mamma dei loro genitori, se non anche, spesso, la loro mamma. Certo, qua e là, presso certi consolati, c'è un Istituto Culturale con uffici, direttore e tutto, spesso anche con un lusso del tutto fuori posto. Ma il direttore di quell'istituto non è altro che un servo della politica e del politico di turno. Anche Furio Colombo, (e con tutto il rispetto, per l'amor di Dio, per la sua squisita cultura) è stato direttore a New York per del tempo. Ma era, per lui, esercizio e passatempo. Non parliamo poi della nuova legge del voto per l'italiano all'estero, e della nomina di rappresentanti alle due camere. Un'arma a due fili, ma io vedo più quello tagliente che l'altro, perché l'altro è invisibile.

""Parliamo della sua esperienza romana, è una parentesi mi pare importante della sua vita.""

Lo è, infatti. Senza quell'esperienza, credo, tutte le altre non sarebbero state mai possibili. Se non altro perché il salto dalla vita di paese alla vita romana ha contribuito a "costruire" l'uomo.Non so se sia stato un colpo di fortuna a mettermi sui miei passi romani, o cosa: il mondo del cinema, sia pur limitatamente alle traduzioni, ma con capolavori come I mille occhi del dottor Mabuse di Fritz Lang, la serie televisiva L'Enciclopedia del mare di Cousteau, la trilogia La marchesa degli angeli ed altri ancora; e poi Giose Rimanelli, autore di Tiro al piccione e altri capolavori, che mi è fratello ancora oggi; e quel buon uomo di Michele Galdieri, che io chiamavo Maestro e che maestro mi è stato; Elsa Morante, nei giorni in cui scriveva L'isola di Arturo. Fortuna? Testardaggine? Posto giusto al momento giusto? Non lo so. Quello che so è, come ho detto, che il mio soggiorno romano ha contribuito non poco a "costruire" l'uomo che un giorno, ancora lontano nel tempo, avrebbe preso inaspettatamente la via del mare.

""E' corretto dire che lei è stato uno dei pochi emigranti dell'epoca che è emigrato per scelta perché l'Italia le stava stretta e non per bisogno? Lei in fondo non è un vero emigrante, sull'Olympia ci salì per andare a scoprire un nuovo mondo.""

Certo, è corretto dire che non posso, non devo considerarmi un emigrante che è andato via per bisogno. L'ho fatto per scelta, avevo un visto da turista rilasciatomi dall'Ambasciata canadese che ci tenne a farmi sapere che quel visto non mi dava diritto né a lavorare, né a restare più del tempo che mi sarebbe stato concesso dalle autorità migratorie al mio arrivo. Poi però le cose sono cambiate, un po' alla volta. Devo dire che lo spirito del pioniere che albergava in me vide subito che il Canada era un paese per pionieri. Mi innamorai subito di quell'idea e dell'idea di restare. Poi si è presentata l'occasione de Il cittadino canadese, e il resto è diventato... storia!

""Arriviamo sull' Acapulco, anche lì, non accettò certo l'offerta arrivata attraverso il "misterioso e del tutto inatteso telegramma" per necessità, vero? E ci racconti della fine, con relativo soggiorno forzato sulla nave, dell'avventura Acapulco.""

No, non ho accettato l'offerta di lavoro sulla nave da crociere Acapulco per necessità. Avevo un lavoro, al giornale, che mi affascinava; avevo appena ricevuto un OK dal governo canadese che mi dava il permesso di residenza e, se lo avessi voluto, la cittadinanza; il mio collega Tommasini stava per lasciare il giornale per dedicarsi a una stazione radio italiana, e io avrei preso il suo posto da redattore capo. Ma c'era, a Montreal, la neve, tanta neve, tanto ghiaccio per terra e in aria, sui tetti, sugli alberi, colava, cadeva, qualche volta ti cadeva addirittura in testa. E c'era, in me, lo spirito avventuroso che mi aveva portato a lasciare il mio paesello prima, l' Italia dopo. Ma si presentò il miraggio del tropico, del sole, un miraggio troppo forte per non sentirlo, per non vederlo. E così, lasciai Montreal, lasciai il Canada. E tuttavia, ancora oggi non so se è stata, quella, una decisione giusta. Ma è stata una decisione, come tante che si prendono nel corso della nostra vita, e questo basta per la coscienza. I pochi anni trascorsi sull'Acapulco sono stati, per me, importantissimi: il nuovo, il rigore del lavoro, i passeggeri che cambiavano ogni due settimane, sempre un'incognita, il Messico. Il Messico! Tutto un mondo da fiaba, una fiaba senza fine. Ma la fine arriva sempre, e in questo caso arrivò quando la compagnia fallì e fummo messi sotto sequestro a San Pedro, il porto per Los Angeles, in California: nave equipaggioe tutto. Sì, sequestro, perché, in certo qual modo, anche noi eravamo sotto sequestro. Nessuno poteva scendere a terra, se non per emergenze e poi, accompagnati da un ufficiale dell'immigrazione americana; il timore che da un momento all'altro fossimo restati senza acqua, o senza combustibile, o addirittura senza... cibo. Un incubo!, passeggero per fortuna, anche se di lunga durata.

""Parliamo dei suoi incontri con Nilla Pizzi? E gli altri?""

Nilla Pizzi diventò una assidua frequentatrice della nostra nave ad Acapulco. L'equipaggio italiano era il suo modo di tenersi collegata con l'Italia. Aveva stretto buona amicizia con il caro e indimenticabile Maestro di Casa Gennarino Velardi, che non le faceva mancare nessuna delle delizie italiane che avevamo a bordo perché ci arrivano puntualmente dall'Italia ogni due settimane, a Los Angeles. Io la ricordo giovane e bella, abbronzata sempre, e sempre allegra, gioviale. Era contenta quando si andava a trovarla al suo ristorante, il Portofino, uno dei più belli della Acapulco di quei giorni con ponti e ponticelli, ruscelletti, tutto all'aperto, tranne il bar. Lei ci accompagnava al bar e si parlava di questo e di quello, dell'Italia soprattutto, ma mai della vita privata di nessuno. Sapevamo, tuttavia, che lei fuggiva dall'Italia per una qualche delusione amorosa. Io continuavo a mandare qualche pezzo al Cittadino dal Messico. Anche per gli italo-canadesi quel paese era un miraggio: sole, mare, spiaggia, e loro sognando, con il freddo, sotto la neve. Un giorno, eravamo appena arrivati ad Acapulco, dai giornali locali appresi che era arrivata anche Caterina Valente, aveva preso alloggio presso un albergo-club privato, Villa Vera, su in alto, su una collina dalla quale si ammirava tutta Acapulco. Decisi di andare ad intervistarla. Mi ricevette subito, al bar della piscina, con un coco-loco in mano, gin cioè, in una noce di cocco tagliata a metà nella quale era racchiuso tutto il succo di quel frutto (anni dopo, il coco-loco fu reso famoso da Richard Burton e da Ava Gardner nel film La notte dell'iguana, girato a Puerto Vallarta). Il titolo che diedi a quell'intervista fu Il nido d'aquila di Caterina Valente, e piacque molto ai lettori, perché parlava di quella grande artista, e parlava delle bellezze tropicali di Acapulco. Anche Emilio Pericoli frequentava Acapulco in quei giorni. Io lo vidi una sola volta, non ricordo bene se a bordo, o presso il ristorante della Pizzi. Ma più che gli artisti italiani, mi affascinavano quelli messicani che frequentavano la nave, perché li ricordavo dai film visti in Italia: Mario Moreno Cantinflas, Pedro Armendariz, El Indio Fernandez, Maria Félix.

""Lei ha vissuto, e in qualche modo nel libro ne parla, la fine dei transatlantici, niente più "migranti da trasportare", l'ora del tramonto dei grandi bestioni del mare e l'arrivo dell'aereo "per diletto o per affari".""

E' un passaggio storico e anche in qualche modo psicologico, culturale, importante. Quando sono partito da Napoli, ai primi del 1959 se ben ricordo, sono partito con una nave che apparteneva ad armatori greci e si chiamava Olympia. Trasportava emigranti greci, israeliti, italiani. Per avere un posto, bisognava prenotarsi con mesi di anticipo. C'erano anche molte navi italiane che facevano la spola: Vulcania, Saturnia, Irpinia, e altre ancora. Se ne parlava anche al giornale, e ne portavamo la pubblicità, sia per chi avesse familiari da richiamare, che per chi volesse tornare in Italia per una vacanza... macchina e tutto. Era molto bello, credo: bello parlarne, scriverne, anche. Eppure, lentamente, molto lentamente, quelle navi stavano per arrivare ad un porto chiamato "Fine". Nessuno lo sapeva, nessuno se ne accorgeva, forse nessuno voleva accorgersene. Infatti, la Società di Navigazione Italia continuava a costruire navi per il trasporto di migranti: qualche anno dopo furono varate la Colombo (rimpiazzava la Andrea Doria), la Raffaello, la Michelangelo, la Leonardo da Vinci, una dopo l'altra, navi bellilssime, molto eleganti anche, ma nate fuori tempo, costruite solo ed esclusivamente per trasporto emigranti per cui, subito dopo il varo, furono destinate ad una fine indegna e indecorosa: anche esse erano arrivate, prima di partire, al porto chiamato "Fine". Io mi sono accorto che l'epoca dei transatlantici volgeva alla fine quando, nel novembre del '63, dopo il fallimento dell'Acapulco, tornavo in Italia a bordo della stessa nave che mi portò via, la Olympia: era, quello, il suo ultimo viaggio. Il mio biglietto di passaggio mi fu regalato dall'agenzia di New York, alla quale ne avevo fatto richiesta, allegando un articolo del mio primo viaggio, che avevo scritto sul Cittadino.

""Princess Patricia segna l'inizio dei suoi decenni di ispettore della compagnia Princess Cruises.""

Devo premettere che la Princess Patricia è stata la prima nave della compagnia, e quella che le ha dato il nome. Di proprietà della Canadian Pacific Railway (CPR) canadese, fu noleggiata da Stanley B. McDonald, lo stesso imprenditore che per la fiera di Seattle aveva noleggiato l'Acapulco. Al primo viaggio, arrivando a Mazatlan, non riuscirono a sbarcare I passeggeri per mancanza di giusta documentazione portuaria. Io mi trovavo a Mazatlan in quei giorni, con I miei suoceri. Venne a chiamarmi Alberto Escoboza, titolare della agenzia incaricata delle escursioni, disperato, per farsi accompagnare a bordo e vedere di persona cosa c'era che non andava, perché I passeggeri non potevano sbarcare. Quando andai a bordo, mi trovai di fronte gli stessi ispettori d'emigrazione che avevo conosciuto ai miei giorni sull'Acapulco. Infatti, fu proprio il loro capo che mi riconobbe subito. Ne parlai con loro, li pregai di permettere ai passeggeri di sbarcare per le escursioni, promettendo che mi sarei interessato personalmente della pratica nel giro di poche ore. Così fu, infatti. Quando Max Linder, socio di McDonald e vice presidente della compagnia, che era a bordo, notò che ero riuscito a sortire quel miracolo, mi avvicinò offrendomi di lavorare per la sua compagnia, la Princess Cruises. Non era nelle mie intenzioni riprendere la vita di bordo, ma il sale... il sale cominciò a ribollirmi nelle vene.

""L'avventura. Il senso dell'avventura?""

Fu l'inizio della mia carriera: da ispettore di bordo prima, e cioè, per la precisione, rappresentante del noleggiatore. Il mio prossimo passo fu quello di mettere a bordo, dopo le prime due crociere, 18 cuochi italiani perché i cuochi cino-canadesi della nave non avevano nessuna esperienza in fatto di cucina internazionale, e poi di una certa classe. Fu quello l'inizio della tradizione di servizi italiani per la Princess, che continua al giorno d'oggi, anche se limitatamente a poche centinaia di componenti dell'equipaggio ormai di ogni nazionalità.

""Di striscio, ha vissuto la guerra del Vietnam.""

Non posso dire di aver vissuta la guerra del Vietnam, neanche di striscio. Ma mi è toccato, mentre lavoravo (durante I mesi estivi, quando non avevamo una nave da utilizzare per crociere) per la nostra agenzia portuale di Long Beach, che apparteneva a Max Linder. Da lì partivano dozzine di navi al giorno con destinazione Vietnam: trasportando di tutto, ma tutto in segreto. E toccava a me, ogni giorno, assisterle, e documentarle per la partenza. Al momento non diedi molta importanza a queste navi che partivano, quasi clandestinamente, per il Vietnam. Quel paese era troppo vivo nella mente e nel dolorante cuore di tutti (come lo è, oggi, Iraq) per essere una cosa così, reale, palpabile, sanguinante. Solo dopo, quando si seppe degli agenti chimici usati dalle truppe americane in quella guerra, mi soffermai a rifletterci, con un certo senso di colpa. Non ho mai potuto smettere di pensare ai veterani di quella guerra. Come non riesco a pensare a questa che oggi viviamo, una guerra che il 70% della popolazione americana non vuole nel modo più assoluto, ma che Bush considera il suo giardino privato. Anche perché mi ricorda, giorno dopo giorno, il Vietnam, con tutti I suoi orrori.

""Ci parli della Princess Italia.""

La Princess Italia è stata la prima nave costruita in Italia esclusivamente per crociere. Ce n'erano altre di navi in quei giorni, certo. Le stesse Raffaello, Michelangelo, Leonardo da Vinci avendo finalmente abbandonato l'idea dell'ormai inesistente trasporto emigranti, cercavano di dedicarsi alle crociere. Nessuna delle tre ci riuscì, più che altro per motivi tecnici: erano state costruite, anche se con un certo lusso, per il "trasporto" di emigranti. La Princess Italia fu costruita in un piccolo cantiere di Muggia che, nel processo, andò in fallimento. Fu rilevato, nave e tutto, dalla Banca Nazionale del Lavoro. Stan McDonald, forte del successo della Patricia, e con servizi di cucina italiani che riuscimmo, grazie ai 18 cuochi, a collaudare, era alla ricerca di una nave più grande e che potesse vantare una tradizione italiana. Fu perciò uno sposalizio ben combinato e, sia per lui che per la BNL, al momento giusto. L'equipaggio era di circa 230, tutti italiani, incluse le due orchestre (triestine), una per il salone principale, l'altra per il Night Club. Gli entertainers invece, una dozzina, erano per lo più americani, con una coppia di ballerini messicani. Posso dire che è stata la prima nave, in America, ad inaugurare le vere e proprie crociere di lusso, anzi, di gran lusso. Il successo è dovuto, in gran parte, al comandante della nave, il triestino Giuseppe de Luyk, che ha saputo dare, e far mantenere, quello stampo. Dopo I primi anni, riuscì a crearsi il proprio circolo di fedeli ammiratori che tornavano a bordo ogni anno, a volte anche diverse volte all'anno. Lo chiamammo Il circolo del Commodoro. Poi anche la Carla C, della famiglia Costa, entrò nella flotta, al comando del ligure Piero Buatier. E così Princess Cruise diventò, con me in ufficio a dirigere il settore operativo, con le due navi italiane, la compagnia di crociere "italiana", pur non essendo italiana.

""Lei ha conosciuto il meglio di Hollywood, ma anche i Savoia, scrittori.""

Beh, dire il meglio di Hollywood è forse una esagerazione. E tuttavia, sì, abbiamo avuto l'onore, il piacere, che so io, la fortuna, di avere sempre, con noi, grandi personaggi. Nel libro ho dimenticato per esempio di menzionare che uno degli assidui frequentatori della Princess Italia è stato anche Ronald Reagan, quando era governatore della California, credo. Io pero', personalmente, non l'ho mai incontrato. Me lo ha ricordato Sergio de Luy, figlio del comandante de Luik, che ne conserva foto con il papà. Tra i personaggi più simpatici che ricordo c'è il grande comico Jack Benny, conosciuto anche per la sua tirchieria. Non concedeva mai uno spettacolo senza farsi pagare milioni di dollari. Ma sulla Princess Italia, già durante la sua prima crociera, lo fece per piacere, era il suo modo di ringraziare l'equipaggio, e i passeggeri per averlo lasciato... in pace! Per il viaggio inaugurale, abbiamo avuto a bordo anche Sharon Tate, e Patty Duke Austin. Infatti, erano con me sull'aereo quando siamo partiti da Los Angeles per prendere la nave a Miami per il viaggio trasferimento a Los Angeles. Pochi mesi dopo, Sharon Tate, che era incinta, subì una morte violentissima nella sua villa di Hollywood, a mani della setta di quel Charles Manson di oscura memoria. Durante il viaggio ospitammo la prima mondiale del film La valle delle bambole, e loro erano protagoniste.Tra gli scrittori invece, ricordo ancora David Reuben, l'autore di Everything you always wanted to know about sex... but were afraid to ask. Restammo amici per anni, e spesso lo visitavo quando viveva nei pressi di San Diego. Poi si trasferì in Costa Rica, e per un po' perdemmo notizie l'un dell'altro. Ci ritrovammo anni dopo, per mezzo di una stazione televisiva latinoamericana di Miami. David McCullough, autore del bestseller The path between the seas (la storia completa della nascita del Canale di Panama), era un ospite abitudinario... quando una delle navi attraversava il Canale di Panama. Michener invece veniva a bordo per presentare ai nostri passeggeri i suoi ultimi libri. E non devo dimenticare Jeraldine Saunders, autrice del libro The Love Boats (ed altri ancora), dal quale è nata l'idea per la famosa serie televisiva. E' stata una delle mie prime hostess. Infatti, della seconda edizione di quel libro mi fece regalo di una copia con la dedica "To Pietro Corsi, my great Love Boat boss". La visito ancora nella sua casa di Glendale, non lontano da casa mia. I Savoia no, non li ho conosciuti. Sì, sono stati nostri ospiti, ad Acapulco, sulla Princess Italia, ma io non c'ero, ero in ufficio a Los Angeles. Il secondo comandante, Luciano Zumiani, mi telefonò per chiedermi se potevano essere ospitati a bordo, territorio italiano (all'epoca, non potevano "mettere piede" su territorio italiano). Il permesso fu dato, e loro furono felicissimi di poter mettere piede su territorio... italiano.

""Parliamo del suo rapporto con la famiglia Costa.""

Più che con i membri della famiglia Costa, i miei rapporti diretti sono stati con il loro rappresentante Romolo Lanzoni, del quale conservo un buon ricordo perché era persona squisita, fedelissimo alla famiglia. Ricordo però il dottor Giovanni Costa, che spesso veniva a bordo della Carla e io, quando potevo, lo raggiungevo per parlare di questo e di quello, e di lavori di manutenzione per mantenere la nave in perfetto ordine. Anche Piergiorgio Costa si faceva vivo, ogni tanto. Lo squisitissimo Nicola Costa invece l'ho conosciuto solo molto dopo, infatti, negli anni '80, nel corso di una mia visita ai nostri uffici di Genova a Piazza Dante, non lontano (allora) dagli uffici Costa.

""Parliamo di Love Boats, un successo internazionale che lei ha vissuto in prima persona.""

Come ho detto prima, la serie televisiva è nata grazie al titolo di un libro scritto da Jeraldine Saunders, che era stata la hostess principale della Princess Carla. Attorno al 1973, la Jeraldine si sposò (per la seconda volta) e lasciò la vita del mare. Di quell'esperienza, tuttavia, aveva la memoria (era di ferro, la sua memoria: ricordava, non so come, I nomi di tutti I passeggeri che tornavano a bordo per una seconda crociera) e molte, tante note. Ne scrisse un libro, scegliendo il fortunato titolo The Love Boats. Dico fortunato perché di quel titolo, di quel nome, si innamorò Doug Cramer, un produttore innamorato dell'amore (una sua serie, durata una quindicina di anni - Love American style - stava per chiudere, e aveva bisogno di rimpiazzare un amore con un nuovo amore). Tutto filava bene tra la Jerry e Doug Cramer, ma... mancava una nave sulla quale filmare il provino da sottoporre alla stazione televisiva ABC. Il dipartimento di relazioni pubbliche della casa produttrice di Cramer aveva avvicinato il nostro direttore per le relazioni pubbliche, e ne aveva ricevuto un netto rifiuto. Perché filmare su una nave richiede molto lavoro di relazioni pubbliche tra una compagnia e l'altra, e poi anche con il settore operativo (nel caso specifico, il mio), e poi ancora... con la nave. Avevano poi avvicinato la SITMAR, che era appena arrivata in California, in concorrenza con noi, ma neanche lì (e, credo, per gli stessi motivi) ebbero successo. Così anche con qualche nascente compagnia di Miami, oggi mecca per le crociere, in quei giorni ancora in cerca del suo destino. Finalmente, Jerry consigliò Cramer di rivolgersi direttamente "al padrone", e cioè, a Stan McDonald. Come prima cosa, Stan (che viveva a Seattle) mi telefonò per chiedermi se ne sapessi qualcosa (non ne sapevo niente) e se, da parte mia, prevedevo qualche problema (non ne prevedevo, anzi, ne ero contento, memore della prima di La valle delle bambole, grande successo anche per la compagnia). Mi chiese allora di arrangiare un incontro per il lunedì prossimo con Doug Cramer. Quel lunedì, ci trovammo in quattro nel mio ufficio, perché Cramer venne con un assistente. Avevano bisogno, ci dissero, di un centocinquanta posti, e di una crociera di sette giorni per sette giorni di lavoro. Su nessuna delle prossime crociere da sette giorni avevamo i centocinquanta posti da loro desiderati. Ma avevamo una crociera da 3 giorni da Los Angeles a Ensenada, per la quale c'erano un duecento posti ancora liberi, sulla nave Sun Princess, appena entrata nella flotta. Offrii quei tre giorni: non erano sufficienti! Offrii allora quei tre giorni, più il giorno dell'arrivo e quello della partenza: non erano sufficienti! Spiegai allora che, come si fa nel mondo del cinema, potevano ricostruire alcuni degli ambienti della nave negli studi. Doug Cramer guardò, stupito, il suo assistente, prima di guardare me e chiedermi: E lei cosa ne sa di queste cose? Gli risposi: Tempo fa, quando ero a Roma, in certo qual modo ero imparentato con il cinema italiano. Doug sorrise, andarono in crociera, ricostruirono una parte del ristorante e del salone principale, l'ufficio informazioni e... la piscina nei loro studi, e si fece così il film pilota. Anche per questo il resto è storia. Jeraldine Saunders mi ha detto, l'anno scorso, che The Love Boat continua ad essere teletrasmesso in più di cento paesi!

""Quale ricordo ha della Princess Diana?""

Nel 1984 la principessa Diana fu scelta per essere la madrina di una nuova unità della mia compagnia, la Royal Princess, e mi toccò dovermi interessare personalmente, dato il caso, per le festività e il ricevimento a bordo. La nave si trovava a Southampton per l'occasione, e lei venne, con un treno particolare, da Londra. Il suo arrivo sottobordo fu tutto uno spettacolo, come solo gli inglesi sanno fare per queste cose che riguardano la famiglia reale. Poi ci fu la cerimonia del lancio della classica bottiglia di champagne, e il ricevimento a bordo. L'avvenimento classico fu la preparazione del banchetto: la principessa voleva petti di pollo, ma... di non più di 3.5 once. Non esistono, così piccoli. Per cui il povero chef Marzi, vero campione, lima e lima per ridurre petti di pollo a quella misura per... 600 persone, quanti erano gli invitati. Ma alla fine la Diana fu così felice, che volle conoscere di persona tutti coloro che erano stati responsabili per il ricevimento. E così ci mettemmo tutti in linea, io, lo chef Marzi, I primi cuochi, il Maitre d'Hotel Renzo Rotti. Io ero l'ultimo della fila, per rispetto al personale che, per me, era più importante. Ci era stato detto di non tendere la mano, ma di accennare ad un inchino. E però, fu proprio lei, gentilmente, a tendere la mano a tutti. Anche a me, quando arrivò il mio turno: Oh!, il caldo della sua morbida mano è ancora nella mia, ancora vivo, oggi, così come la sua vocina timida che mi ringraziava per lo squisito ricevimento, e il brillo sincero dei suoi occhi che volevano essere carezzevoli, mai inquisitivi.

""Lei dedica circa 20 pagine del suo libro a quella che definisce Una nuova era per le navi da crociere. Ecco, potrebbe spiegarci questo passaggio? Come e perché è cambiato questo mondo?""

Il mondo delle crociere è cresciuto smisuratamente, in poco più di vent'anni, forse anche grazie al programma televisivo del quale abbiamo parlato, che ha avuto il merito di portare questa forma di vacanza in tutte le case d'America e del mondo. Molti erano quelli che desideravano fare una crociera, pochi quelli che potevano permettersene l'alto costo. A cambiare questo stato di cose ci pensò la Carnival Cruises nella seconda parte degli anni '70: inaugurando, con delle vecchie barche, crociere per la massa: non crociere di lusso, come le altre compagnie, ma crociere per la massa. Quella formula, alla quale tutte le altre compagnie, noi compresi, avevano resistito, era la formula commercialmente giusta. Per abbassare i prezzi, era necessario ridurre la spesa; e per ridurre adeguatamente la spesa, era anche necessario avere più passeggeri a bordo. E così cominciarono a costruirsi navi più grandi, sempre più grandi. Fino ad arrivare, oggi, a navi di oltre 4mila passeggeri. E' stata la fortuna della Carnival, che ha comprato poi molte delle altre compagnie, inclusa la Costa, e la Princess, e la storica Cunard, armatrice delle famose Queen Mary e Queen Elizabeth. E' stato un passaggio doloroso forse, per molte compagnie: ma, visto così, freddamente, alquanto semplice. Ed era forse tempo. Forse! Ci sono ancora però poche compagnie che, con poche navi, continuano la crociera di lusso: Crystal Cruises per esempio, e Oceania Cruises (che ha appena ordinato, mi dice Joe Waters, il suo CEO, due navi con Fincantieri, della capacità di poco più di mille passeggeri).

""Parliamo di Fincantieri.""

Ah, ne ho appena accennato! Sono arrivato alle porte di Fincantieri dopo che la mia compagnia acquistò la Sitmar (che aveva appena commissionato due navi presso Fincantieri), e dopo l'esperienza della costruzione ex-novo della Royal Princess in Finlandia, nel 1984, e dopo la consegna di una nuova nave in Francia, presso I cantieri Chantiers de l'Atlantique, nel 1989. Faccio questa premessa per arrivare a un termine di paragone tra quei cantieri e Fincantieri, dove ho trovato funzionari di squisito tatto umano e commerciale, primo fra tutti l'ingegner Gianfranco Testa, e tutto un team di operai totalmente dediti al successo dei cantieri allo scopo di continuare la tradizione italiana. Ecco, posso dire che sono stato sempre così contento dei miei rapporti con Fincantieri, che qualche anno dopo, dopo aver lasciato il lavoro intendo dire, mi sono permesso di raccomandare alla Disney di affidare la costruzione della loro prima nave a Fincantieri. Che però non aveva spazio a Monfalcone, per cui ne costruirono una metà a Venezia, l'altra ad Ancona. La metà di Ancona, una volta completata, fu "rimorchiata" a Venezia dove le due metà si trovarono e si "accoppiarono" per diventare una sola, bellissima unità. Questo, grazie alla tecnica ultrafuturistica adottata da questi nostri nobili cantieri navali. Ci sono ottimi cantieri in tutto il mondo: Finlandia, Francia, Norvegia, Germania, Inghilterra (anche se, oggi, limitati), persino in Giappone. Ma è Fincantieri che continua a costruire quelli che io ho definito, "i gioielli del mare".

""Il suo addio da quel mondo, avvenuto il 31 marzo del 1992, lei lo liquida in poche righe, dopo aver scritto meravigliosamente 262 pagine di avventure ricche di dettagli, come se quell'addio fosse un fatto tanto privato e tanto doloroso da non poterlo raccontare. Ecco, io vorrei che invece ci raccontasse quell'addio, come si fa dopo tanti anni a lasciare un mondo, quello del mare, quello delle navi, quello di un lavoro che ti fa incontrare e scoprire il mondo, come si fa a mollare?""

Non ho mai detto che è stato facile. Ma non posso neanche dire che è stato difficile. Da una parte, c'è quel pensiero descritto nel libro, maturato nel corso degli anni, sulle esperienze altrui, di mio zio Mike, del nostromo dell'Acapulco, del maestro di casa dell'Italia Catalfamo, del cameriere notturno A voce 'e notte, e tanti, tanti altri ancora: il mare ti dà la vita, solo per poi togliertela, senza che tu te ne accorga. Il ritmo accelerato della mia vita, di quegli ultimi ventisette anni della mia vita, ha facilitato il compito. Subito dopo aver lasciato gli uffici, ho chiuso casa a Los Angeles (ma senza buttare la chiave!), e sono tornato in Italia. Per ben sei mesi. Poi sono rientrato nel continente America, ma in Messico, non a Los Angeles. E questo, per staccarmi completamente da tutto e da tutti. E' stato, per me, un esercizio salvifico. In Italia , nel Molise, ho ritrovato i miei odori e i miei sapori; ho ritrovato i miei amici d'infanzia, e ho trovato, anche, la forza necessaria per continuare a scrivere.Soltanto un allontanamento così drastico poteva sortire il miracolo. Devo dire di essere fortunato. Molti, al momento del pensionamento, perdono la testa. Io invece l'ho ritrovata!

""Oggi, che fa?""

Scrivo, per l'appunto, e viaggio tra Italia, Messico e Stati Uniti. Il mio nuovo biglietto da visita ha queste indicazioni: Summer (e il mio indirizzo e numero di telefono nel Molise); Fall & Spring (e il mio indirizzo e numero di telefono in California); Winter (con il mio recapito nel Messico).

Maria Margherita Peracchino/News ITALIA PRESS

2 commenti:

Anonimo ha detto...

caro indimenticabile straordinario Pietro!

Unknown ha detto...

Anche io avevo i a zia in America,zia Maria Gaudio sorella di mio padre Luigi ,sposata con un Corsi di Casscalenda: chissà se nostri parenti? Sarebbe bello saperlo