domenica 25 ottobre 2009

Come sono arrivato alla scrittura:

Mi sono interessato alla lettura quando, in prima media, al Caradonio-Di Blasio di Casacalenda, vinsi un concorsino indetto dalla professoressa (Sisetta Mancini) che riguardava, se ben ricordo, un tema in italiano. Per premio ricevetti un libro per me prezioso: I tre moschettieri!Poi però successe qualcosa. Andai a frequentare la seconda media alla statale di Larino. Il professore era Paolo (Paoluccio) Minni. Non credo che avesse simpatia per gli alunni della vicina Casacalenda, e certamente nutriva una spiccata antipatia per me. O almeno, così mi sembrava. Io ero un asino in latino, perché ero arrivato mentre loro, a Larino, erano molto più avanti di noialtri di Casacalenda. Non sono mai riuscito a raggiungerli, anzi facevo fatica a rimanere... indietro! Il professor Minni pensò bene di bocciarmi in latino con uno zero spaccato. Questo mi andava bene, lo sapevo. Ma siccome le sue materie erano anche italiano, storia e geografia, per buona misura decise di aggiungerci anche quelle. Ed anche se (a detta degli altri alunni), io potevo certamente essere considerato il migliore della classe in italiano e, forse, anche storia. Questo incidente causò il mio abbandono della scuola. Decisi, cioè, che la scuola non faceva per me. O che io non facessi per la scuola. Insomma, oggi posso riconoscerlo, ero incazzato e le incazzature giovanili sono sempre imprevedibili e pericolose. La preside, Vitiello, venuta a conoscenza dell'incidente, si preoccupò di farmi raggiungere dalla sua preghiera di presentarmi a settembre, per farmi giustizia. Non lo feci, non mi preparai e non mi presentai. Mi rinchiusi, invece, nella sede del circolo cattolico giovanile per tutta l'estate, e mi lessi tutti i libri della sua ben attrezzata biblioteca riclassificandoli, secondo un mio arbitrario giudizio, in un apposito inventario "ragionato". Ecco, questo maturò in me l'interesse per la lettura. Che continuò anche quando, qualche anno dopo, cominciai a lavorare presso lo studio del notaio Lalli, nel Palazzo Ducale. Passavano, per il paese, rappresentanti delle più grandi case editrici di quei giorni, Mondadori, Einaudi, Rizzoli, per presentare le loro novità editoriali presso la Libreria De Magistris (ora defunta). Io, che al contrario di altri giovanotti guadagnavo già qualche soldino, ero il miglior cliente. Ho ancora, nella mia casa di Casacalenda, molte di queste edizioni anni Cinquanta, ora bruciate dalla polvere. In quei giorni, chi voleva leggere e non poteva comprarle libri, li prendeva in prestito da Pietro Corsi. E quando andai via, li prendeva in prestito, dalla mia piccola libreria, avvicinando mia sorella Nuccia. C'è ancora oggi una signora romana, dottoressa, che giura, ogni volta che la incontro, di essere diventata una avida lettrice grazie alla mia collezione di libri. E, bontà sua, mi ringrazia ma io, per la verità, non mi ricordo neanche: erano in tanti, in quei giorni, ad avvicinarsi alla mia fonte libraria. Mentre lavoravo nello studio del notaio Lalli scoprii, sulla sua scrivania, un libro intitolato "Signora Ava", scritto da un guardiese, Francesco Jovine. Anche il Lalli era guardiese e, si diceva, era forse imparentato con Jovine. Cominciai a leggere anche quel libro, e presto me ne innamorai. Forse anche perché parlava di cose di casa.E tuttavia, la passione per la scrittura maturò soltanto anni dopo, quando mi trasferii a Roma, anche se, mentre ero ancora in Molise, scrivevo articoletti "dalla provincia" per le pagine regionali di Paese Sera, Il Tempo, Il Messaggero. A Roma ebbi la fortuna d’ incontrarmi con Giose Rimanelli e, tramite il mio studio di traduzioni e copisteria, con il paroliere napoletano Michele Galdieri. Con il Galdieri, cominciai a collaborare scrivendo programmi radiofonici. Era uomo di grande umanità, come ogni buon napoletano che si rispetti. Non lavorava mai senza che io fossi presente (infatti, smise di lavorare quando io lasciai Roma!). Gli dedicavo la tarda sera e le ore notturne, perché di giorno avevo i miei altri impegni. Questi includevano, anche, il mio aiuto all'amico fraterno Giose Rimanelli, in quei giorni alle prese con la stesura di Il mestiere del furbo, che aveva fretta di consegnare alle stampe. Era un libro complesso, cambiava di giorno in giorno e confessava l'inconfessabile. Io glielo battevo a macchina perché lui era troppo incazzato con il contenuto per concentrarsi anche sulla tastiera della macchina da scrivere. Solo dopo riuscii a capire il perché: quel perché che è, oggi, storia (anche se non ufficialmente riconosciuta) della letteratura italiana di quei giorni. Ecco, con questo bagaglio di esperienze alle spalle, qualche anno dopo arrivai in Canada, a Montreal. Siamo alla fine della primavera del 1959. Ricevo un'offerta di lavoro presso il settimanale in lingua italiana “Il Cittadino Canadese”. Su quel giornale comincio a pubblicare anche (così, tanto per riempire le sedici pagine settimanali) qualche "racconto". Primo fra tutti, Onofrio Annibalini: emigrante, che maturerà, poi, nel mio primo libro, La Giobba. Dopo” Il Cittadino” e la mia esperienza canadese, presi altre strade. Mai però dimenticando che scrivere era un mio dovere. Devo però a questo punto ammettere che se il mio bagaglio di avventure ha svegliato, in me, il mestiere di scrivere, di "narrare", non posso essere considerato un narratore di stampo intellettuale. Mi considero appena un... artigiano della narrazione. E questo però, mi va bene!